Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ho sempre considerato il ciclismo uno sport faticoso, dove bisogna tirare fuori gli attributi. Di questa verità uno se ne rende conto la prima volta che prende la bici e affronta la sua prima salita: si chiede subito come fanno i corridori che fanno il Giro ed il Tour a non sentire tale fatica. Marco Pantani diceva che andava così forte in salita, per ridurre la durata della sua sofferenza.
Senza andare alla ricerca dei "facili trucchetti" - e qualcuno di voi penserà subito al doping - chiunque può scoprire abbastanza presto che una delle cose più importanti del ciclismo è l'allenamento: se ti alleni a dovere, puoi superare tante asperità. Se ti alleni alla fatica, alla sopportazione, allo sforzo, non dico che puoi affrontare qualsiasi montagna, perché a tutto c'è un limite, ma ci puoi arrivare molto vicino. Si realizza in questo sport proprio la metafora della vita: se ti impegni strenuamente, i risultati a cui puoi arrivare possono essere assolutamente sbalorditivi, quasi dei miracoli.
Quando tanti anni fa ho cominciato ad andare in bici con Lorenzo R., non riuscivo a capacitarmi di come lui potesse andare tanto sul piano quanto in salita. Poi piano piano, col passare degli anni, partendo dalla mia prima Lessinia Legend del 2007, arrivando fino ai vari brevetti nazionali degli ultimi anni, ho realizzato che la resistenza sulla lunga distanza e prolungata nel tempo era una caratteristica in cui avevo qualcosa da dire, vuoi perché non eccellevo nello sprint o nella salita pura, vuoi perché quando c'è da mettersi in discussione, non mi tiro mai indietro.
Due anni fa ho cominciato ad immaginare se avrei mai potuto affrontare e portare a termine la Salzkammergut Trophy, la gara di mountain bike più dura d'Europa, stando a quanto recita il manifesto ed il sito della gara.
Questa gara, nel cuore della Mitteleuropa a poco più di un'ora da Salisburgo in Austria, frequentata da migliaia di ciclisti dell'intero arco alpino, ma anche tantissimi tedeschi ed amatori di tutta l'Europa, catalizza l'interesse dei più arditi amatori, proprio per i numeri del percorso più lungo: 211 chilometri di sterrati e 7000 metri di dislivello in salita! In più si aggiunge un paesaggio tanto incantevole, quanto impervio in alcuni passaggi, che lo rendono assolutamente desiderabile a tantissimi altri percorsi nel resto d'Europa.
Tanto per intenderci le più dure tappe del Giro d'Italia possono arrivare a tale chilometraggio, molto spesso in pianura, mentre le salite difficilmente arrivano ad accumulare più di 5000 metri di dislivello. Solo che il Giro d'Italia si corre su strade asfaltate, non su carrarecce, mulattiere forestali, ciclabili a fianco dei laghi e sentierini sperduti nei boschi come alla "Salz"!
L'anno scorso mi ero deciso di prendere parte virtualmente a questa gara, semplicemente seguendo sul web i tempi intermedi di alcuni amici romagnoli. Vederli superare i vari cancelli accresceva la mia stima nei loro confronti, ma al contempo accendeva il desiderio di emularli, visto che anche loro erano passati prima di me per gli stessi tracciati che ho pedalato negli ultimi anni, come la Dolomiti Superbike in Val Pusteria, la Marathon dell'Alta Valtellina e la Black Forest in Germania.
All'inizio della primavera di quest'anno ho coinvolto così qualche altro amico nell'impresa e così, senza strafare nei mesi precedenti, mi sono preparato diligentemente a questa piccola impresa: vedere il traguardo della Salzkammergut Trophy!
L'obiettivo principale di ogni allenamento nel corso della primavera è stato anzitutto quello di stare seduto in sella tante ore, fino a avere il "culo quadrato.
Ricordo che nell'arco di 24 ore sono andato con la bici da strada da Grezzana a Bosco Chiesanuova ben quattro volte, con sosta obbligatoria nella pasticceria in paese. Ho scorrazzato in compagnia degli amici ciclisti per tutta l'Alta Lessinia almeno tre o quattro volte; ho corso anche una gara in Liguria nel cuore della notte ed infine, a solo una settimana dalla gara austriaca, mi sono sparato il tragitto dalla spiaggia romagnola fino a Grezzana, con un solo panino, un gelato e tanta cola!
Il giorno della gara la sveglia suona alle 3.30. Si parte talmente presto, alle 5 in punto, che il sole deve ancora sorgere, ma ci si vede abbastanza da non cadere a terra, anche se le facce dei più sono "imbogonate". Così si parte abbastanza increduli ed in un'atmosfera quantomeno surreale.
Lo speaker, dopo parecchie incitazioni in lingua teutonica, fa il conto alla rovescia e ci si ritrova senza volerlo già ai piedi della prima salita. Si sale già ad un ritmo abbastanza alto che viene subito il dubbio se le successive ennemila salite si riuscirà a farle o se si sarà costretti a girare la bici e ritirarsi per "forze esaurite". Sono tutti i "pensieri cattivi": cercano di remare contro la costanza e la determinazione che io, come altri seicento e più impavidi attorno a me, hanno deciso di mettere in campo. Più che l'allenamento è la convinzione di potercela fare che deve rimanere intaccata, nel ciclismo come in tanti altri sport di resistenza estrema, una questione di fede, insomma.
Guardi poi subito l'orologio e vedi che sono le 5.20: "Sei partito da venti minuti e già guardi l'orologio"? Quando il sole prova invano ad alzarsi e di farsi largo tra nubi minacciose, comincia a piovigginare. Qualcuno davanti a me decide drasticamente di porre fine alle prime avversità. Nel corso della gara è tutto un incrociare concorrenti, che optano per il ritiro e percorrono contromano la salita, che io e quelli a fianco a me stiamo cercando di scalare. Sembra quasi di vivere una scena dantesca, ma non distinguo bene se ci troviamo all'inferno o al purgatorio, in paradiso no di certo.
Comincio il gioco delle frazioni. Ogni tanto dico a me stesso e a Paolo, che pedalerà al mio fianco per l'intera gara, neanche fosse un angelo custode: "Abbiamo fatto un decimo", "abbiamo fatto un ottavo", "abbiamo fatto un sesto", "abbiamo fatto un quarto"!
E le ore passano. La pioggia smette e riprende. Fortunatamente i ristori si susseguono sul nostro percorso con una certa regolarità. Rimbombano più che mai i moniti di tutti quelli che sono passati prima di noi: "l'importante è bere e mangiare".
E ancora: “Se continui ad attingere alla fonte e ad alimentarti del pane quotidiano - neanche fosse una rivelazione cristiana - puoi andare molto avanti”. Per me e Paolo il menu giornaliero si compone di decine e decine di tranci di torta: torta paradiso e crostata alla cannella con marmellata di mirtilli, sorseggiando litri e litri di sali minerali intervallati da qualche bicchierata di Redbull, che, per chi non lo sapesse, in Austria scorre dai rubinetti come l'acqua calda.
Tra una salita e l'altra c'è però tempo di rifiatare: le discese sono spesso molto lunghe e veloci e si organizzano le forze rimaste, anche se di tanto in tanto qualche agguato si presenta dietro l'angolo, prima con un tratto di mezzo chilometro nel fango liquido di un sottobosco, poi su discese rocciose e sconnesse, dove Paolo ha la peggio volando letteralmente nel bosco e procurandosi qualche bella ammaccatura, senza però compromettere la sua continuazione. Quante volte avete visto i ciclisti rialzarsi e ripartire, altro che calciatori!
E' appena passato mezzogiorno, un acquazzone è lì dietro l’angolo, sono in sella già da sette buone ore ed il giochino delle frazioni è prossimo a sentenziare: "Siamo a metà"! In un tratto percorso in solitario mi lascio andare in un pianto liberatorio: comincio a realizzare che ce la posso fare. La quantità di adrenalina rilasciata da quel pianto farà tutto il resto.
Le varie difficoltà della catena che ogni tanto si aggroviglia su se stessa, del cambio che non vuole più saperne di cambiare, delle "sbroffe" di fango appiccicate sugli occhiali, delle tacchette delle scarpe che non vogliono starsene attaccate sui pedali, degli alluci contorti da una decina di ore, passano tutte una dopo l'altra, come sopra l'olio.
Nemmeno la salita cementata del Salzberg, affrontata dopo con 4500 metri di dislivello nelle gambe, mette in dubbio la riuscita dell'impresa, nonostante fosse quasi impossibile salirla anche a piedi, col 40% di pendenza.
Quando cominci a crederci, la salita prima si spiana e poi piega in discesa. Il gioco delle frazioni finisce e comincia un altro gioco, quello dell'attesa: prima delle ore, poi dei minuti che ti separano dal traguardo. Cominci già ad assaporarlo il traguardo. E' dolcissimo e lo gusti almeno un'ora prima, tanto da confondersi con l'ultimo trancio di crostata ai mirtilli - si, perché dopo tredici ore la torta paradiso se la sono mangiata tutta quelli davanti.
Io e Paolo siamo talmente ringalluzziti che recuperiamo ogni tanto su qualche altro concorrente sfatto e, ormai al traguardo dopo "solo" 14 ore e 41 minuti, sfiliamo ai 40 all'ora, neanche fossimo appena partiti ed ecco il traguardo pure in leggera discesa! Mi aspetta la mia famiglia a bocca aperta perché siamo arrivati un'ora prima del previsto, ci acclamano alcuni amici, applaude un intero paese con la stessa intensità con cui ha applaudito al vincitore, ai duecento arrivati prima di noi, così come agli altri duecento arrivati dietro.
Scendiamo dalle bici che non pare nemmeno essere vero. Non ero mai stato quindici ore consecutive in bici. Temevo dopo solo quattro o cinque ore di non sopportare più i piedi stretti nelle scarpe da mountain bike. Avevo paura per le braccia, che mi abbandonassero su una delle discese più spericolate. Pensavo che la schiena ricurva sul telaio in carbonio pretendesse una tregua dopo una decina di ore. Non pare nemmeno vero che non siano venuti né i crampi, né la tanto temuta crisi di fame.
Da subito ci credevo poco, poi ho creduto, infine sono stato abbagliato dalla verità. Nello sport, pari pari che nella vita, è solo una questione di fede.
Il racconto intitolato "Una piccola impresa nel Salzkammergut" è stato pubblicato questa settimana su "La Matassa", numero di settembre 2014, un giornalino che gira tra Alcenago e Stallavena.
Gli operatori telefonici di rete fissa continuano a martellarci con pubblicità più o meno invasiva e con solleciti più o meno corretti per passare ai loro servizi.
La tecnica usata è sempre quella: siamo allettati proprio con dei banalissimi specchietti per allodole, cioè promozioni sembrano scadere sempre da un momento all'altro. Solitamente scadono entro qualche giorno o al più una settimana.
Peccato che una volta scaduta la promozione -quando va male - essa viene protratta per un altro po' di tempo, altrimenti viene surclassata da una promozione ancora più irresistibile. E quindi quelli che hanno firmato il contratto alle condizioni della promozione appena scaduta, si sentono un attimo "presi in giro", per dirla con un eufemismo.
Questo è il mercato della libera concorrenza nelle telecomunicazioni: il servizio e l'accesso alla rete fissa costa praticamente zero per tutti; la rete tecnologica viene in gran parte manumtenuta dal gestore monopolistica, cioè Telecom Italia, ma il garante della concorrenza ha acconsentito affinché anche altri "operatori" si spartiscano la torta prelibata.
Succede infine che, come tutti i clienti affezionati, vieni sedotto e abbandonato, cioè quasi tutte le promozioni sono davvero convenienti per un certo periodo di tempo e poi ti ritrovi di nuovo ad una tariffa non proprio conveniente.
Si fa pure fatica ad ottenere telefonicamente di avere le stesse condizioni dei nuovi contratti, senza stare lì a cambiare operatore.
Quando non ci si riesce, si fa quello che ho fatto io. Ho cambiato operatore, senza stare a mandare disette, che non sono più obbligatorie per legge, solo che ti ritrovi nell'ultima bolletta del precedente operatore, Infostrada nel mio caso, la "sorpresina" di 35 Euro, cosa che avevo comunque messo in conto, perché ne ero al corrente dalle condizioni contrattuali vigenti.
#sapevatelo