Siccome ogni anno si sente la stessa tiritera al riguardo del Canone RAI, ho fatto la cosa che riesce semplice a tanti, cioè cercare in rete su cosa succede negli altri stati europei.
Tante lamentele nascono dal fatto che tantissima gente lo ritiene una tassa illegittima, vuoi perché è collegata direttamente alla proprietà di un televisore - trattasi pertanto di una tassa patrimoniale a tutti gli effetti - vuoi perché le reti televisive RAI non sono regolarmente emesse sull'intero territorio nazionale - infatti da quando si è passati al digitale terrestre (DVB-T) in tante regioni, tanti utenti sono stati costretti a passare alle piattaforme satellitari Sky o a Tivusat per continuare a vedere la tivù, a causa di un segnale digitale troppo debole per garantire una qualità minima - vuoi anche perché tantissima gente è assolutamente insoddisfatta del servizio pubblico politicizzato, che tra l'altro è pure finanziato in maniera importante dalla pubblicità.
Non è comunque mia intenzione dirimere la faccenda, ossia se sia giusto o meno pagare il canone TV. Ho già espresso la mia idea sulle tasse in più occasioni con amici, parenti e colleghi di lavoro: ogni tassa patrimoniale, a mio modo di vedere, è ingiusta, così come lo è anche il canone RAI in quanto "tassa di proprietà".
Il 90% delle famiglie italiane lo paga, un buon 10% no, ma questo è un'altra storia. Io ho cercato in rete cosa succede nel resto dell'Europa.
Certo è che la natura del titolo che ho dato a questo articolo è chiaramente provocatoria. Potremmo girare la frittata, ponendo piuttosto la questione non del fatto che il canone TV sia giusto o meno pagarlo, ma "è giusto pagare più di 100 Euro per il servizio della tv pubblica italiana, vista la spartizione politica"?
Sulla rete ho trovato questo articolo di Boris Bivona, che trovate integralmente a questo URL sul sito Fisco Oggi.
Il pagamento di una tassa per la detenzione di apparati atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo, è statuito dall'articolo 1 del regio decreto n. 246 del 21 febbraio 1938 e confermato da alcune sentenze della Corte costituzionale. La ragione per cui l'Italia, al pari di molti altri paesi europei, ha adottato il sistema dell'esperienza televisiva intesa come servizio pubblico culturale e pedagogico, quindi soggetto a tassazione, deve rinvenirsi nel momento storico postbellico in cui la tivù di stato diventa il simbolo della rinascita e dell'unificazione sociale.
Il ministero dell'Economia e delle Finanze, per il tramite del dipartimento del Tesoro, partecipa per la quota del 99,56 per cento sulla RAI Radio Televisione Italiana Spa, mentre il restante 0,44 per cento è di proprietà della Siae (dati relativi al 2008-2009).
I giudici di legittimità, con riferimento alla natura giuridica del "balzello" televisivo, hanno avuto modo di fornire chiarimenti al riguardo in diverse occasioni. La sua istituzione deve rinvenirsi non tanto nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che lega il contribuente, da un lato, e l'Ente Rai, che gestisce il servizio pubblico, dall'altro, ma nel fatto che si tratta di una prestazione tributaria, fondata sulla legge, non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio. La sua riscossione è affidata allo Sportello abbonamenti TV, gestito in concessione dalla RAI per conto del ministero dell'Economia e Finanze.
Sorprendentemente, la tassa pagata in Italia risulta essere, in confronto tra i Paesi dell'Europa occidentale, la più bassa. Secondo i dati forniti (nel 2006) dall'Osservatorio europeo dell'audiovisivo, l'importo medio a livello comunitario proveniente dal canone televisivo dovrebbe attestarsi a 118 euro per famiglia nel 2009. Al riguardo, occorre, tuttavia, osservare la differente partecipazione al finanziamento della tv pubblica degli altri Paesi europei distinguendo la parte fiscale (il canone) e quella commerciale (pubblicità).
In Gran Bretagna, la BBC, che propone 8 canali tv interattivi, 10 network radiofonici, più di 50 emittenti TV e radio locali, viene finanziata ogni anno esclusivamente attraverso il canone pari a 176 euro. Particolarmente severe risultano, poi, le sanzioni per chi viene scoperto moroso o evasore della tassa sulla Beeb (come viene soprannominata dai Britannici la BBC) che arrivano anche alla custodia cautelare.
In Germania, i tedeschi sborsano ogni anno una tassa, pari a 206,36 euro per due canali pubblici (ARD e ZDF) che possono, tuttavia, trasmettere anche spot pubblicitari ma soltanto in una specifica fascia oraria dei giorni lavorativi, e cioè tra le ore 17 e le 20.
In Francia la tassa ammonta a 116 euro, ma la riforma del sistema radiotelevisivo prevede dal 2009 lo stop agli spot - ammessi solo durante gli intervalli naturali dei programmi - e la tassazione dei guadagni pubblicitari delle emittenti private e delle entrate degli operatori di telecomunicazione.
Islanda (RUV), Svizzera (SSR SRG), Austria (ORF), Norvegia (NRK) e Danimarca (DR e TV2) si contendono la leadership dei Paesi europei in cui il canone tocca le quote più elevate, superando i 250 euro annui.
In Islanda il canone ammonta a 346,59 euro e la tv viene finanziata pure dalla pubblicità; in Svizzera 292 euro con spot; in Austria tra i 223,32 e 284,52 euro, oltre alla pubblicità che varia a seconda della regione, in Norvegia 270 euro senza spot; in Danimarca, infine, costa 215,40 senza spot. Sono, altresì, senza spot le tv di Stato della Svezia (SVT) e della Finlandia (YLE) la cui tassa è rispettivamente pari a 210 euro e 208,15 euro l'anno.
In Belgio il canone ammonta a 149,67 euro dove è permessa la pubblicità (la Tv federalista fiamminga, RTBF, VRT e BRF, preleva l'importo direttamente dalla dichiarazione dei redditi). In Irlanda alla pubblicità si affianca il canone di 160 euro.
In Romania (TVR) esiste una tassa sulla radiotelevisione da 12 euro a 150 euro, che varia in base al reddito, alla quale si aggiunge il finanziamento pubblicitario. A 132 euro sta pure la tv di Stato della Slovacchia che si finanzia anche con gli spot commerciali.
Ora ricordiamo anche che ci sono alcuni stati in cui la tivù pubblica non è così esosa ed il cui canone è inferiore ai 100 Euro, vuoi perché il reddito procapite medio è decisamente più basso, ma anche perché la produzione della tv di stato non è così ricca e variegata, come negli stati più grandi. Il 58% delle entrate della Tv pubblica Rtsh dell'Albania viene ricavato dalle tasse, il rimanente 42 per cento da pubblicità e abbonamento pari a 6,30 euro. In Bosnia il canone è pari a 36 euro (al quale si aggiunge la pubblicità). In Croazia la tassa (mediamente 100 euro) equivale all'1.5 % della retribuzione annuale, ma è prevista pure la pubblicità. A Cipro il canone si riscuote con la bolletta elettrica (in più c'è la pubblicità). Nella Repubblica Ceca alla pubblicità si aggiunge il canone di 56,90 euro.
La tv pubblica della Grecia (EPT) si finanzia, invece, attraverso la bolletta elettrica (il canone è pari a 51,60 euro ed è permessa la pubblicità). In Macedonia la tassa ammonta a 57 euro e si paga con la bolletta della luce (la tv trasmette anche la pubblicità). A Malta circa il 66 per cento dei ricavi proviene dal canone (pari a 34,40 euro), il 33% dalla pubblicità.
In Montenegro ogni mese il canone costa 3,5 euro, ma la tv si finanzia anche con la pubblicità così come in Polonia dove il canone costa 53 euro.
Infine le "isole felici": In Europa ci sono i paradisi fiscali televisivi. Alcune nazioni, infatti, non prevedono o hanno totalmente abolito la tassazione sulle tv. Ad esempio nei Paesi Bassi (Netherland 1, 2, 3), Portogallo, Ungheria e Spagna (dove, con alcuni tetti, è consentita la pubblicità). In quest'ultima nazione, a ben vedere, vige un sistema "misto" di finanziamento per la tv pubblica (TVE). Il 50 per cento poggia su sovvenzioni statali, il 40 per cento sugli introiti pubblicitari e il 10 per cento dalla vendita dei programmi tv. La pubblicità diminuirà entro il 2010 per passare a 9 minuti all'ora. Ciò che rende il panorama spagnolo molto differente rispetto agli altri Paesi Ue è la notevole libertà concessa alle comunità autonome (come quella della Catalogna e della Navarra) nel settore dell'audiovisivo: insomma un federalismo fiscale televisivo.