Con un bel po' di ritardo arriva anche il mio commento pacato sulla Divinus Bike, la sesta edizione che si è tenuta domenica 18 maggio a Monteforte d'Alpone nell'est veronese. Dopo la Lessinia Legend, arriva così la seconda gara in cui mi cimento per la seconda volta, col chiaro intento di migliorare la posizione in classifica dello scorso anno.
Diciamo che le aspettative di domenica 18 maggio erano ben altre, dopo che le piogge hanno ben pensato di bagnare per bene tutto il percorso le sere prima, ma hanno anche ben pensato di tenere in ammollo i corridori per tutta la gara.
Ad onor del vero la domenica mattina si presenta con tutti i migliori auspici, col tempo che sembra tenere e il mio parcheggio della macchina a fianco di un Master che conta, come il mio caposquadra, il "Bosca". Peccato che la pinza dei freni anteriore equipaggiata con pastiglie nuovissime non voglia saperne di fermare decentemente la ruota, ma Simone mi rassicura sul fatto che sia una questione di qualche chilometro. Speriamo bene...
Dopo aver salutato tutti gli amici di sempre, subito i Trombini di San Bortolo col loro botto impressionante, mi mettono fuori uso il ciclocardiocomputer, che va completamente in tilt dalla vibrazione e da lì in poi sarà un beep continuo che mi accompagnerà per i primi chilometri di gara.
Dopo aver superato Orlandi, che mi chiede "se ho el fogo al cul", le prime rampe se ne vanno molto rapidamente e la mia condizione è molto soddisfacente. Dopo un po' sorpasso anche la Silvia Rossi, unica donna della mia squadra, ma appena dopo cominciano le prime difficoltà sul fango e coi cambi. Tutti si mettono a spingere a piedi la bici in salita e dopo qualche minuto cominciamo tutti a realizzare che la giornata presenta uno scenario epico: sembra di essere alla guerra.
Il fango blocca non solo i deragliatori, ma ce n'è talmente tanto impastato sulle ruote, che quest'ultime non girano nemmeno nelle forcelle! Tutti continuano con la speranza che l'episodio sia limitato solo a questo tratto iniziale di gara, ma più andiamo avanti e più ci rendiamo conto che così non è.
In più ci si mette anche una delle pastiglie del freno anteriore, che se ne esce dalla sede e mi mette completamente fuori uso il freno anteriore. Non perdo la pastiglia, ma la vedo penzolante fuori dal posto in cui dovrebbe stare. Il ritiro è praticamente certo e lo comunico agli amici che poco a poco mi superano, Radu in primis. Riesco però ad arrivare al primo controllo orario, dove rimedio una brugola di fortuna, con cui mi metto di impegno e ripristino completamente l'impianto frenante anteriore. Con questa grande soddisfazione il morale torna alto e proseguo assieme a tutti gli altri concorrenti. Sono però già parecchio attardato e infatti me ne rendo conto dalla facilità con cui recupero posizioni, salendo il castello di Illasi, ma le sorprese non sono finite.
La salita di Castelcerino mi consente di recuperare altre decine e decine di posizioni, ma in prossimità della cima la quantità di fango della mulattiera è indescrivibile e non c'è verso di andare avanti: gente che non ce la fa a spingere la bici, gente che se la mette in spalla, gente che impreca per aver storto il forcellino, gente che non riesce più a cambiare, altri con la catena rotta, altri ancora con deragliatore entrato tra i raggi della ruota. E' un'ecatombe che io non conoscevo proprio.
Anch'io soffro penosamente tutte queste difficoltà, ma non demordo e mi impongono di provare a finire lo stesso la gara: si va avanti ad oltranza! Inutile dire che anch'io non son più capace di cambiare le marce, complice più che mai il fatto che col cambio rotante SRAM non c'è verso di spostare il deragliatore anteriore, più che mai intriso di terra e chissà che altro. La cosa che mi fa penare più di tutte è il fatto che la catena mi si fa sù attorno alla corona media, senza possibilità di pedalare. Le salite sono insomma tutte un calvario, dove non mi rimane che salire a piedi. Qua e là qualche fotografo ci scatta foto, ma non so quante siano le foto in cui mi si vedrà in sella alla bici! In più il cielo verso fine gara decide che è il caso di regalare a tutti i concorrenti rimasti, tanto per rendere indelebile il ricordo di una giornata che memorabile lo era già fino a quel punto.
Negli ultimi chilometri avrei avuto anche una gamba mostruosa, al contrario dell'anno scorso, dove cominciavano a farsi sentire leggermente i principi di crampi e così non mi rimane che superare qualche concorrente della mia stessa griglia. Al ristoro di fine gara, mi rifocillo come un profugo in preda al terrore di una gara per me quantomeno epica e arrivo perfino a chiedere che ora sia, ma sembra che non sia l'unico ad aver penso la percezione della realtà.
Una bella scena è sicuramente la zona lavaggio bici, dove avrò tolto alla bici almeno un paio di chili di terra e qualche etto sicuramente anche da braccia e gambe, visto che, senza ritegno, ho pensato di usare la canna dell'acqua anche su me stesso. Lascio pertanto la zona di lavaggio coi brividi addosso, visto che ho fatto tutta la gara con la divisa estiva, ma i gradi verso fine gara saranno si e no 16-17°C e le forze se ne sono andate tutte.
A conclusione di questo ricordo, mi permetto di spiegare quale sia il motivo che mi ha spinto a portare a termine questa sorta di impresa: fare esperienza, fare esperienza e fare esperienza. Fino ad ora nelle gare di mountain bike, marathon o cross country chi siano, non avevo mai trovato siffatte condizioni, ma ammetto che bisogna trovarsi dentro per sperimentarle sulla propria pelle. La prossima volta che mi ricapiterà una cosa del genere cercherò di fare tesoro della sesta edizione della Divinus Bike e cercherò di evitare banali errori, come quello di insistere in sella alla bici, quando il fango non consente di andare avanti, e quello di spingere la bici, quando ha molto più senso mettersela in spalle.
Ah, la classifica: 609° su 830 arrivati nel percorso lungo col tempo di 3h26'12" all'ignobile media dei 12,22 km/h. Non che il vincitore se la sia passata molto meglio, comunque il traguardo lo hanno visto solo in metà, quindi il mio risultato è sicuramente quello di essere arrivato in fondo, senza aver rotto niente!
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